Inserisco delle monete nel distributore del caffè, spingo il bottone, e non succede niente. Spingo ancora; niente. Insisto nervosamente, con una raffica anche un po’ violenta di colpi di polpastrello, ma ahimè niente da fare. Sopraggiunge il collega chiedendomi divertito cosa mai succeda. Rispondo esasperato che quella stupida macchina non vuole darmi il caffè, e che neanche vuole restituirmi i soldi.
"Non è stupida!- ribatte l’amico - è semplicemente una macchina!"
Resto innervosito, però pian piano, di fronte ad un onesto barista che fa bene il suo mestiere e non mi nega quello che ho chiesto e pagato (l’amico se ne è andato) riprendo quelle parole.
Che una macchina sia una macchina non v’è dubbio; che non possa essere stupida, nemmeno...ma che vuol dire quella tautologia?
E’ forse evidente, che quella macchina del caffè che m’ha fatto saltare i nervi sia una macchina? E’ evidente come lo è la verità dell’affermazione "una macchina è una macchina"? Certo che no...ma questo non è interessante, insomma, non voglio andarmene a pensare che dentro potrebbe esserci un burlone o cose simili: mi interessa tanto poco quanto poco può stimolarmi chi mi dicesse che mica è detto che esistono gli oggetti esterni, o che mica è certo che non stiamo sognando e via seguitando...
Parto allora dall’assunto che quella lì, quell’odiosa caffettiera gigante e difettosa sia una macchina. Però mi sono arrabbiato. Il che significa, inequivocabilmente che a un certo livello, da qualche parte credo alla faccenda del burlone.
È, questo, un mio difetto personale, una tara che dovrei farmi curare? No... tutti quanti imprecano contro automobili, computer, forni a microonde e via dicendo. Tutti dal medico, allora, perché resta vero, ineluttabilmente vero, che davanti abbiamo delle macchine?
Resta vero, ma evidentemente non è una verità banale, se a un certo livello l’umanità tutta è convinta che dentro la macchina c’è qualcuno che la prende in giro.
E allora: cosa è una macchina?
Mi dico: qualcosa di meccanico e privo di coscienza, il cui comportamento è assolutamente necessitato dal modo in cui io vi intervengo, se spingo un pulsante, o abbasso una leva, ne seguirà necessariamente qualcosa, e non altro. Pulsante-caffè. Chiavetta-accensione, e via dicendo. Magari.
Magari, mi dico: e i meccanici? Che ci stanno a fare? Risposta elementare: una macchina difettosa continua ad essere una macchina, perché è meccanicamente necessario che se il motorino di avviamento è rotto, la macchina non si metta in moto. Fine.
Fine? Ma allora noi con chi ci arrabbiamo? Risposta: siamo stupidi. Che in tal caso vuol dire: non siamo intelligenti perché intelligente e razionale sarebbe...essere come la macchina: realizzare saggiamente che la macchina di necessità va così, come ogni meccanismo interconnesso dall’acume matematico di un ingegnere. Se all’ingegnere si dà il compito di dedurre il comportamento di una macchina quando interviene un certo guasto, diremo che è un incompetente - o magari che è limitato, se per es. è uno studente - se non prevederà, equazioni alla mano, che la mia odiosa caffettiera dato quel guasto non mi darà il mio caffè.
Mi siedo a prendere un po’ di fresco, fuori da quel bar affollato.
Non mi convince. Certo, detta così la situazione si è capovolta: mi sono dato dello stupido nel dare della stupida a quella stupida macchina. Ma è sufficiente? Il meccanico che trova il guasto è intelligente, la macchina è solo una macchina, e l’umanità tutta è stupida. No...mica mi convince.
Provo a riprendere dall’inizio, o quasi. Le macchine sono (si sostanziano di) concatenazioni necessarie di nessi causali. Bottone-caffè. Però si rompono. E questo perché la vita è dura per tutti: non è qui il problema.
Il problema è che cosa significa che una macchina è una concatenazione eccetera. Mi rivolgo a chi ha osservato che la macchina rotta, magari per un nesso necessario tra una martellata e la sua morte clinica, continua ad essere una macchina. Ripartiamo da qui: mi restituiscono la mia automobile: e si rompe di nuovo. Obiezione identica alla prima: si è rotta per necessità meccanica e perfettamente modellizabile dal suddetto ingegnere.
Eh no... noi in questo caso non possiamo rispondere che quella macchina lì che ho portato dal meccanico è una macchina: non possiamo sostenerlo basandoci soltanto su quanto abbiamo detto sulla concatenazione necessaria eccetera.
Chiedo: data questa definizione, avete mai visto una macchina? Ne avete mai fatto esperienza?
Sto investendo con queste riflessioni il mio malcapitato collega che mi ha di nuovo raggiunto, e che comprensibilmente mi guarda un poco perplesso, ma anche divertito.
"Che significa - mi dice - se ho mai visto una macchina...quella caffettierona, la mia automobile....ma che vuoi dire?"
"Voglio dire questo: tu sei d’accordo che una macchina è un meccanismo la cui struttura interna è come si dice <perfettamente deterministica>: fai una cosa e ne deve conseguire una certa altra cosa, per forza: se no è difettosa, e anche in tal caso l’effetto di un intervento su una macchina difettosa sarà in se stesso necessario: per es. il fatto che non ti dà il caffè invece di dartelo"
"Certo..."
"Bene...ma se ti tieni a questa definizione, ti chiedo: hai mai visto una macchina?"
"..."
"Insomma, hai mai avuto tra le mani una macchina, di qualsiasi tipo, che si comportasse secondo la perfetta prevedibilità di cui parla quella definizione?"
"No...ma è perché si rompe, e tutte le macchine prima o poi si rompono..."
"E ti sembra poco? tu mi stai dicendo che nessuno ha mai sperimentato l’effettiva presenza davanti a sé di un meccanismo come da definizione: "prima o poi si rompe" significa che noi non sappiamo cosa di preciso prima o poi accadrà, ma solo che ci lascerà a piedi o senza caffè."
"Si...ma è una macchina che ci lascia senza caffè...mica il fatto che si rompa la fa essere qualcosa di diverso da una macchina..."
"No, certo che no, ma la fa essere qualcosa di diverso dalla Macchina descritta in quella definizione!"
"Va bene, e allora?"
"E allora dobbiamo dire che quando noi ci aspettiamo che quella caffettiera ci dia il caffè perché è una macchina fatta per quello non ci riferiamo a nessuna esperienza effettiva: non ci è mai successo di trovare una macchina che si comportasse sempre e comunque come dovrebbe"
"Bè, si può dire che lo crediamo per induzione: tante volte ci è capitato, ricapiterà..."
"Eh no! Se io tutte le mattine che esco a comprare il giornale incontro sempre la stessa persona, non so, un vicino, o anche semplicemente il giornalaio, e una mattina non lo incontro, e neanche la mattina dopo, non mi verrà in mente di dire che il giornalaio è difettoso"
"E grazie! una persona decide di starsene a casa, o si ammala...mica dici che si è guastata!"
"Infatti: questo significa che c’è una profonda differenza tra le due situazioni: mentre con la persona io prevedo induttivamente che la incontrerò, lo credo per esperienza fatta, con la macchina io so che è necessario che se non è difettosa, mi darà il caffè: c’è un senso della necessità in questa credenza, che non compare nella credenza induttiva sulla persona. E questo anche se molte persone sono molto più prevedibili di quella macchina: il mio giornalaio è una istituzione, più garantito di un orologio: alle sette del mattino, eccolo lì, da anni."
"Ma insomma, dove vuoi arrivare?"
"Poniamo dei punti fermi: io non ho mai fatto esperienza di una macchina come si definisce, ma credo fermamente che quella caffettierona lo sia: io con il tale oggetto su cui c’è scritto "macchina da caffè ecc." mi comporto, mi atteggio immediatamente come se fosse una macchina. Lo assumo, e lo presuppongo, ma sono privo di prove che lo sia veramente, se per prova si intende un comportamento rigorosamente conseguente a quella definizione"
"Ma insomma, tu lo assumi, lo credi e tutto quanto, e se non ti dà il caffè ti arrabbi? Come fai ad arrabbiarti se credi profondamente che sia una macchina? sei scemo?"
"No: tutto il mio discorso è volto a difesa dell’umanità: che non la si dica scema per colpa di un carburatore"
"E allora?"
"Considera anche l’altro corno della situazione: per quanto regolarmente si possa comportare il mio giornalaio (magari dandomi sempre la stessa risposta, lo stesso resto eccetera) io non dirò che può "guastarsi", anche se a rigore ho sperimentato di più l’arbitrio della macchina che non il suo: neanche della libertà si può fare esperienza: noi ci comportiamo con le altre persone come se fossero libere. E con le macchine come se fossero concatenazioni incoscienti di cause e di effetti."
"Vuoi dire che sbagliamo?"
"È ovvio che no. Sbagliamo invece a credere che sia definitivamente dimostrabile che un determinato oggetto sia una macchina, senza accorgerci che ci siamo riferendo solo alla definizione generale della Macchina come concetto. È come se dicessimo: quello è un albero perché l’albero...e via con la definizione dell’albero"
"Si ma allora come la metti a questo punto che tu stesso ti sei arrabbiato dicendo che quella caffettiera è stupida, e non vuole darti il caffè eccetera?"
"Potrei dirla così: che l’uomo che costruisce una macchina sogna una fragile utopia: pensa di aver davanti la soluzione automatica a tutti i problemi compresi nella sua modellizzazione ingegneristica: nel sognare l’assenza di coscienza insieme alla perfetta efficienza lavorativa sogna lo schiavo perfetto, e nel farlo sogna lo propria perfetta libertà.
Quando spingiamo quel pulsante, nel luogo più profondo di noi stessi realizziamo un sogno di onnipotenza, e non lo sappiamo. Non lo sappiamo, ma insieme all’aspettativa di meccanicità sentiamo il desiderio della più pura libertà, non solo, ma se il caffè arriva, quel desiderio lo sentiamo realizzato. Una macchina che si rompe ci rimbalza su noi stessi e sulla nostra impotenza: trasforma quella felicità raggiunta nella frustrazione di un desiderio che si denuncia definitivamente tale: "va tutto male, i problemi col principale, mia moglie che vuole una cucina nuova...e adesso anche questa stupida caffettiera!!". Non è roba da poco: l’umanità non è stupida, è che è troppo intelligente per non sapere che tra la libertà vera e la sua fittizia presenza c’è un diaframma molto, troppo sottile. Un caffè?"
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