Un po’ di riflessione.
Metto tutto in dubbio. Nego; nego sempre, nego l’evidenza per vedere
che effetto fa. Mi dà fastidio la nozione stessa di evidenza: è
stupida.
Io e il mio amico parliamo sempre, e io alla fine non dico mai niente:
nego. Lui mi dice: “Ma si può sapere che vuoi?…”
Io taccio, perché non lo so bene.
Voglio la verità…
“Ah… la verità! Vorrei vedere io…vorrei vedere se un giorno
mentre te ne stai lì tutto intento a negare le tue negazioni e ad
affermare le tue critiche, se io venissi con un bel vassoio con sopra la
verità…che faresti? Eh? Cosa faresti allora? Ti fermeresti lì
tutto contento?”
(Oddio no… non starei lì tutto contento. Me la guarderei…che
sguardo ha la verità? Così, ferma lì, soddisfatta…è
uno sguardo intelligente? Sveglio? Sonnacchioso?…)
“Bè…io cerco la verità”.
“Non ci credo”.
“E cosa credi?”
“Che fai qualcos’altro…non so…la fuggi…tu la fuggi…io a forza di
sentirti mettere in dubbio tutto, quello che di te mi porto dentro è
che non puoi star fermo…solo questo…una sensazione di irrequietezza, di
sfrenatezza animale… insomma: questa faccenda della verità, mi sembra
una sorta di pretesto…”
“Dimmi meglio…”
“Voglio dire che…può capitare che si esca con un amico, con
chi vuoi…: lui non vuole proprio star fermo a casa, e allora ti dice usciamo,
andiamo al ristorante, e insiste, finché uscite. Arrivate al ristorante,
e dopo pochissimo lui vuole andarsene perché non gli sta bene la
folla…e andate in un altro locale…e lì c’è l’aria viziata…e
così per due, tre, quattro volte. Alla fine ti viene proprio di
dire: senti, qual è il problema? Il problema non è il ristorante:
se gli portassi su un vassoio d’argento il ristorante perfetto, troverebbe
un’altra scusa. Ecco, tu fai così: e allora io dico il problema
non è la verità, la verità è il vestito che
si mette la tua incapacità di stare fermo. Guarda che io lo so:
se io non sono libero di non essere libero, tu non sei libero di non negare,
di non fuggire. Da cosa, non mi è chiaro.”
“Eh… questa tirata ha il sapore della vendetta: io denudo te, tu
svergogni me…Non c’è dubbio che io cerchi la verità, non
c’è dubbio che non tolleri l’inganno, l’autoillusione, la razionalizzazione,
il giudizio sommario. Il problema, io credo, sta nel fatto che l’uomo è
un animale, e cerca di non esserlo: e per questo gli occorre la verità…ma
è per questo, anche, che la fugge…”
“Guarda che non ti faccio mica rivestire troppo facilmente, quindi
fai attenzione…”
“Ascoltami: l’uomo parla, e cioè dice delle cose, che possono
essere o vere o false”.
“Mm…”
“…mentre un albero che dà un frutto non dice nulla: il frutto
non è una cosa vera o falsa, come può esserlo un’affermazione
del tipo “questa è una pera” ”.
“E allora?”
“E allora è stato detto: soltanto l’uomo usa i nomi, e i
nomi non sono cose come i frutti; sono totalmente irriducibili alle cose,
con i nomi si può dire la realtà e il mondo: questo dire
dell’uomo non è come il frutto di un albero, che è parte
della realtà. Il problema é: é veramente così?
Alla fine, non sarà mica che una parola non è che il frutto
di un albero, e che il vero e il falso non sono che i colori e il sapore
dei frutti dell’albero “uomo”?”
“Che significa?”
“Questo: perché esistano il vero e il falso deve essere possibile
dire la realtà senza essere la realtà”.
“?”
“Prendi la musica. La musica è un linguaggio che non si esprime
per enunciati veri o falsi: non si “riferisce a” un mondo di oggetti tale
che io possa dire “no, qui sbagli, le cose stanno diversamente”. Dice qualcosa,
ma non nell’ordine del vero-falso.”
“Bene”
“Ora, se tu vai da Mozart – ti sarà venuto in mente, immagino
– per chiedergli: “Senti ma cosa vedi ? da che posto lo vedi: parla!” Lo
fai perché ha una tale potenza di espressione…e in questa espressione
tu senti un mistero così insolubile…e quello che ti viene di chiedere
è: dimmi cosa stai vedendo! Ti sarà capitato…
“Già …”
“Ora, Mozart ti risponde con una sinfonia… o con una sonata… come
fosse un albero: tu gli chiedi chi è e cosa pensa, e lui ti dà
una mela: allora riformuli la domanda, ed ecco un’altra mela. E tu resti
insoddisfatto perché vorresti che Mozart, o l’albero ti dicessero
qualcosa… E invece sono muti: la potenza d’espressione della musica si
accompagna ad un totale mutismo semantico. Mozart è come un tramonto:
ripeterà se stesso muto e sublime, per sempre.
“E invece dire qualcosa, che significa?”
“Bè, nelle intenzioni, si direbbe qualcosa di essenzialmente
differente: se io ti dico qualcosa di vero-o-falso, tu puoi chiedermi cosa
intendo dire, qual è l’oggetto del mio discorso…allora io cambio
parole, e quel cambiamento non è come darti un’altra mela o un altro
tramonto…: è un chiarimento, un passo in più verso la realtà
che io indico, e non un’espressione ulteriore della realtà che io
sono…
“Bene…”
“Ora, io credo che il filosofo denunci a gran voce, con la propria
esistenza, che l’uomo è un animale, o un albero…o un tramonto. E
che l’animale muore, e il tramonto trapassa nella notte. Prendi la tua
sensazione nei miei confronti: io nego, e nego, e metto in dubbio…e in
apparenza questo sembra fatto in nome della verità: perché
cioè si dicano cose vere: perché si arrivi ad un effettivo
chiarimento e si possa dire veridicamente la realtà.”
“Già…”
“Però poi tu noti che posso trovarmi davanti ad una qualsiasi
affermazione, una qualsiasi credenza: quello che faccio è negarla,
toglierle la pretesa di essere vera. Facendo io questo, sempre e solo questo,
tu senti distillarsi nel tempo, ai tuoi occhi, la natura profonda di questa
mia tensione, di questa autonoma e incontentabile volontà di porre
in dubbio qualunque cosa, a prescindere dalla sua verità… Insomma,
senti che io offro sempre lo stesso frutto, che sono sempre lo stesso tramonto…che
non mi interessa veramente muovermi verso la realtà, perché
quello che desidero nel profondo è muovermi ed essere movimento.
Se a Mozart chiedi un chiarimento ti offrirà musica, se ad un filosofo
chiedi di spiegarti meglio ti offrirà filosofia: avrai in entrambi
i casi, davanti a te, il guizzo di un delfino, lo sbocciare di un fiore:
il massimo tentativo di dire la verità, così struggente da
non accontentarsi mai, mostra piuttosto che la parola della verità
è muta come un’alba. Del resto Aristotele ha detto che l’uomo è
un “animale razionale”, ma il termine è zòon logistikòn,
che significa animale che parla. E perché la parola dovrebbe dire
di più del salto di una gazzella?”
“La gazzella fugge dal leone: il filosofo da cosa fugge? Perché
fugge la verità, ponendola allo stesso tempo come obiettivo della
propria caccia?”
“Bè… io credo che quella verità sul vassoio, di cui
parlavi tu, sia stasi e morte: e l’animale vuole vivere…e allora fugge
al suo cospetto.”
“D’accordo, ma allora perché la pone come obiettivo della
propria caccia!”
“Penso questo: perché altrimenti girerebbe a vuoto, e sarebbe
un tramonto veramente: il puro muoversi di quel tramonto, si risolve nel
ripetersi identico del ciclo naturale: è, alla fine, uno star fermo.
Per muoversi, occorre percorrere cammini mai percorsi prima…”
“Il punto è vivere…”
“Penso di sì…”
“…e non morire…”
“Mm…”
“…”
“…”
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