Cara M.,
solo il blues riesce stanotte a farmi poggiare
le dita sulla tastiera. Il blues e qualche bicchiere di Pinot grigio. Accoppiata
vincente per abbattere l’enorme senso di vuoto che mi sequestra l’anima.
Il senso di vuoto che parte dallo stomaco
e si rifugia nel cervello, e mi fa sentire come un’auto senza benzina e
con un paio di gomme a terra. Ma questo è niente di come si “sentono”
i miei pensieri: un buco nero che ingoia sveltamente ogni cosa viva, ogni
ingorgo dell’anima. Eppure sono vivo, riesco ancora a credere che un giorno
tutto sarà solo una continua alba, un continuo inizio.
Com’è difficile amare. Com’è
difficile farsi amare. Si crede d’amare ma si è solo vittima di
luoghi comuni!
Com’è lunga e facile la solitudine,
com’è difficile essere insieme e com’è incongruente vivere
in compagnia. Com’è difficile scegliere, accettare e vivere di compromessi
e regole dettate dal buon senso o da affetti che si credono tali ma che
sono solo abitudini e ripetersi di mille gesti e banalità quotidiane.
Ci si crea una corazza, un bunker infinitamente grande e robusto, per quanto
si è piccoli e fragili. Ecco perché io mi rifugio fra le
parole (soprattutto scritte), ecco perché detesto tutto ciò
che sembra e non è. Le parole danno un valore all’esistenza, per
quanto volgare e inconsistente sembra, inutile e provvisoria.
Le cose che fanno soffrire sono quelle
che fanno decidere. Soluzioni a problemi antichi e stagnanti diventano
il riscatto per le anime in pena, le anime povere chiuse a chiave dalle
consuetudini e dal perbenismo.
Non so perché scrivo mentre
quasi tutti sono riuniti a festeggiare la nascita di Cristo, ma so che
solo così riesco a vivere stanotte. E con l’immenso vuoto che mi
circonda io mi sento solo una vittima, mentre il carnefice è dentro
me chiuso nel petto, e col suo battito continua ricordarmi che sono vivo,
e vivo solo per lui e per niente altro al mondo, succube del suo rumore,
del suo continuo essere per farmi essere.
Continuo a chiedermi il perché di
tutto quello che ci e successo in questo mese, di tutte le sensazioni e
le emozioni che ci hanno coinvolto e un po’ sconvolto. Alle paure, incomprensioni
e dubbi che abbiamo condiviso, ma non riesco a trovare spiegazioni, o per
lo meno un senso. Non parlo di verità, ma solo vorrei una piccola
congruenza razionale. Per adesso ho solo la consapevolezza di scriverti,
e l’incertezza
di non sapere se queste righe un giorno
le leggerai.
Stanotte mi sento ipocrita perché
non sono capace di addormentarmi alla solita ora. Non riesco a trovare
un compromesso fra me e il pensiero che ho di te. Fra la mia fantasia e
la realtà che ci divide. Eppure io sono presente in questo computer
attraverso dei tasti, accompagnato da musica e incomprensibilmente affascinato
dal mio dolore che brucia pian piano il ventre. |