Laerenlee avanzava lentamente verso casa, il
capo leggermente chino, persa nei propri pensieri. I soffici capelli, lunghi
fino alla vita, le incorniciavano il viso giovane e grazioso, dai grandi
occhi blu come lo zaffiro e dalle labbra pallide e delicate. Un volto fatto
per splendere di sorrisi, ma ora abbandonato ad un’espressione malinconica,
se non addirittura triste.
Salutò le sorelle distrattamente, con
un vago cenno del capo e poche parole: sapeva cosa avrebbero detto di lei,
vedendola così, lo sapeva bene, e non lo gradiva affatto: ma non
poteva farci nulla, aveva provato, ma non riusciva, non riusciva…
Si chiuse in un cupo silenzio, mettendosi in
disparte; sentì gli occhi delle altre osservarla ancora per un poco,
poi avvertì i primi bisbigli. Erano così flebili che non
riuscì a comprenderne le parole, né a identificare chi le
pronunciava, ma non ne aveva bisogno. Sapeva già cosa avrebbero
detto, ed era certa che, come al solito, la prima a cominciare sarebbe
stata quell’insensibile ficcanaso di Vrelenlee.
Come aveva previsto, il commento iniziale era
stato a carico della sorella maggiore:
“Non ci credo. Non posso crederci. Quella benedetta
ragazza non si è ancora adattata…”
“SSSR, Vere! Vuoi forse che ti senta?”
“Mmpf. Che mi senta pure. Le farebbe solo bene.”
Rispose risentita alla giovane Elaranlee, ma con tono più fioco.
“ Lae è grande, ormai, quasi adulta, e ancora si rifiuta di accettare
la realtà! Non ho mai visto nessuno così cocciuto…”
“Hai ragione, certo, lo so: ma povera Lae, almeno
per oggi, cerca di non essere troppo severa con lei! Certo, è strana,
ma questa sua stranezza non la rende certo più felice, anzi! L’ultima
cosa di cui ha bisogno è essere anche rimproverata…”
“Ela, credi forse che non lo sappia? Proprio
per questo vorrei che smettesse di arrovellarsi su pensieri inutili e che
le portano solo infelicità! Piccola, Lae è anche mia sorella,
e se a volte la tratto duramente è solo perché le voglio
bene e vorrei che smettesse di tormentarsi una volta per tutte. Vorrei
che iniziasse a vivere con un po’ di serenità, come noialtre.”
Elaranlee sospirò “Per te è così
facile, Vrel! Ricordo che anche a me un tempo aveva dato qualche problema,
anche se l’abitudine e la comprensione mi hanno portato a superarlo presto.
Posso capirla, in un certo senso, anche se…”
“…anche se non è normale, né salutare,
che i problemi perdurino per più di qualche anno, al massimo. E
poi rovinarsi la vita… per cosa? Per quegli idioti? Per quei rozzi, sgraziati
maschi, troppo stupidi per resistere…”
“Ssst, calma, calma” interloquì Elaranlee,
prima che il tono della sorella, trascinato dall’emozione, si facesse troppo
sonoro “Vrel, non devi convincere me.”
“Scusa, hai ragione. Ma vederla così…”
“Lo so, sorella, lo so. È che ormai noi
abbiamo fatto tutto il possibile: accettare la propria natura, ora, dipende
solo da lei”
Laerenlee scosse la testa, gettando all’indietro
la massa di capelli bagnati che le erano caduti davanti agli occhi. Trasse
un profondo respiro, assaporando l’odore misto di mare e di piante, ammirando
i verdi cespugli ornati di fiori che rivestivano parte del basso promontorio
e dell’insenatura che lo affiancava. Le piaceva quel luogo: un’angusta
rientranza della costa, solitaria, protetta da pareti quasi a picco e da
ammassi di scogli, in una zona già evitata per la fama data dalle
sue pericolose correnti. L’aveva scoperta da parecchi mesi ormai, e quando
il desiderio di uscire si faceva troppo forte, era lì e lì
soltanto che aveva preso ad aggirarsi; poiché non vi aveva mai visto
anima viva, riusciva quasi a sentirsi davvero tranquilla, certo più
che in qualsiasi altro tratto di costa avesse mai precedentemente visitato.
La giovane si accoccolò comodamente su
uno scoglio a pelo d’acqua, rivestito di morbide alghe, lasciando spaziare
il proprio sguardo verso le rocce e poi su, lungo la parete del promontorio
e su ancora e ancora, fino al cielo terso, dipinto dell’azzurro pieno dell’estate.
I pensieri parevano dissolversi mentre si abbandonava al piacere di quella
serena contemplazione, ancor più sentita in quanto, come al solito,
rimandata a lungo: molto a lungo, troppo, finché le era stato impossibile
aspettare ancora.
Il sospiro del vento si alzò, dapprima
quasi impercettibile, sfiorando la sua pelle e il mare e l’erba; poi si
gonfiò, di tanto in tanto, a soffiare fra le fronde, a increspare
il pelo dell’acqua in mille scintille di sole riflesso, a carezzarle il
volto come una mano gentile: Lae si trovò presa nell’incanto del
luogo senza quasi rendersene conto, e si abbandonò ad esso.
Ne ho troppo bisogno. E poi, qui non viene nessuno…
Le pareva ora che i suoi occhi abbracciassero
il cielo intero e lo prendessero in sé, l’infrangersi delle onde
aveva il ritmo del suo cuore, l'oro del sole la avvolgeva nel suo abbraccio
di luce e di calore; e il calore era anche quello degli animali che si
muovevano furtivi fra la vegetazione e le rocce lì intorno,
il pulsare dell’acqua era animato dalle creature che vivevano in essa,
l’aria viveva dell’esistenza di uccelli e insetti e il suo tremolio era
quello della luce specchiata e spezzata dal mare… e tutto vibrava con lei,
in lei…
Lasciò che l’emozione della stessa Esistenza
crescesse dentro di sé, colmandola, finché fu troppo anche
per lei: finché, quasi per semplice, istintivo riflesso, se ne fece
tramite.
Si riscosse che ormai i raggi del sole s’erano
fatti d’oro cupo e bassi sull’orizzonte; un brivido improvviso l’aveva
scossa facendola quasi tremare, ma non era freddo, oh no, affatto, e con
una stretta al cuore Lae si impedì di illudersi al riguardo. Conosceva
quella sensazione, le era bastato provarla quella prima volta, in un tempo
che ora le pareva incredibilmente lontano, per averla chiaramente marchiata
nella mente e nell’animo: la conosceva, come da allora l’aveva sempre riconosciuta.
Anche qui, anche qui… oh, no, no…
Si lasciò scivolare silenziosamente in
acqua, scrutando con attenzione gli scogli sommersi ed esplorando il fondale,
lasciandosi guidare dai flussi, cercando un indizio, cercando…
Ed ecco, finalmente: là, una macchia rosea
abbandonata nella nicchia fra due rocce, premuta contro di esse dalla spinta
di una forte corrente; era una brutta situazione, ma lei lottò contro
quella forza, tirò e strattonò e imprecò finché
riuscì a vincere la corrente e portare il povero corpo in superficie,
trascinandolo sulla riva. Ansante per lo sforzo, lo osservò con
il cuore stretto, perché sapeva già cosa avrebbe trovato:
ma non poteva impedirsi di sperare che forse, questa volta…
Era un ragazzo giovane e robusto ( se era stato
faticoso, dannazione, da trasportare, per lei!) ma tutta la sua energia
e la sua forza non avevano potuto nulla contro quella del mare.
Stupido ragazzo! Perché venire in questo
posto isolato e pericoloso, quando c’erano tante, tante spiagge e insenature
lungo la costa, ben accessibili e sicure, dalle acque meno infide e ingannevoli
di queste? Ma forse, forse nemmeno era venuto per il mare: in fondo sarebbe
bastato che fosse passato nei dintorni, del resto aveva ancora addosso
‘vestiti’… Forse c’era qualche sentiero a ridosso delle pareti, forse c’era
un passaggio fra le rocce? O forse, che avesse potuto… dal promontorio?
Fin da lassù?
Laerenlee rimase a contemplare a lungo quel corpo
senza vita, accarezzandone il volto umido e pallido con lo sguardo e con
dita leggere, cercando di arginare l’onda di tristezza che sentiva gonfiarsi
dentro di sé. Oh, inutile rattristarsi, inutile tentare di
frenarsi, inutile… tutto! Vrel ha ragione: non posso farci nulla! La nostra
natura… non posso impedirmi di vivere! Non… non mi ero quasi accorta, di
aver iniziato a Cantare… non posso vincere l’istinto…
E mentre ancora il suo cuore piangeva per quel
povero giovane, sentì che, inesorabile, qualcosa si faceva nuovamente
strada in lei; prima una sensazione lontana, una scintilla… oh, di nuovo
no, di nuovo… poi l’emozione si gonfiò, senza che lei avesse la
forza, o la volontà, di opporvisi. E i raggi rossastri del sole
al tramonto erano dita che si allungavano verso di lei, dita insanguinate
come ora sentiva essere le proprie, lo scintillio cupo del mare si rifletteva
nel suo animo, l’ombra ai confini del cielo avanzava fagocitando la luce
e la gioia e il giorno e la vita, le stelle erano lucenti lacrime di tristezza
eternamente fissate a rispecchiare il suo stesso dolore: e lei doveva,
doveva dare sfogo a tutto questo, doveva esprimersi, e sapeva che cera
solo quel modo per farlo.
Rinunciò all’inutile lotta con se stessa,
rinunciò a trattenere il canto alieno e meraviglioso che le sgorgò
spontaneo dalle labbra, intrappolandola nel suo stesso incanto, un canto
che senza parole raccontava un’inenarrabile emozione: l’emozione di chi
era in grado di avvertirsi come parte del tutto, e che avvertiva il tutto
in sé , che sentiva la propria vita riflessa in quella della Vita
intorno, le proprie emozioni amplificate nel cielo e nella terra e nel
mare e rese talmente intense da colmare l’animo e poi ancora più
forti, tanto da dover essere liberate. Un’emozione che solo lì,
fra mare terra cielo, era possibile cantare.
Quel pizzico di razionalità che ancora
sopravviveva in lei sperava ardentemente che non ci fossero altri intorno,
che il ragazzo fosse venuto solo, che nessuno potesse sentire: ma la sua
stessa natura la faceva cantare ancora e ancora e più forte, facendole
dimenticare ogni altra cosa, un canto stavolta triste quanto il precedente
era stato gioioso, un canto di un fascino indicibile. E Lae cantava mentre
adagiava il cadavere nell’acqua, in un punto in cui sapeva che le correnti
l’avrebbero condotto verso una zona dove altri uomini l’avrebbero trovato.
Chissà, forse questa morte sarà
conferma per la fama di pericolosi di questi luoghi, forse li diranno maledetti,
forse stavolta nessuno si avvicinerà più, mai più…
Nel canto della giovane si intrecciò una
nota di speranza: ma era flebile, perché Lae sapeva quanto potesse
essere curioso e azzardato l’uomo, e quanto poco peso desse ormai a prudenza
e avvertimenti. Sapeva che, comunque, non avrebbe più avuto il coraggio
di tornare lì, anche se non aveva idea di dove poter trovare un
posto ancor più isolato e solitario.
Dallo scoglio, continuando a cantare, Lae osservò
il corpo allontanarsi lentamente, in balia delle onde; quando non riuscì
più a vederlo, salutò con un ultimo, desolato suono il sole
morente, e con un colpo deciso della lunga coda flessuosa, tornò
a tuffarsi in mare, fendendo l’acqua con eleganza, diretta a casa. E tentando
di celare, per quanto possibile, la propria tristezza, perché non
voleva, non voleva, che le sue sorelle la rimproverassero ancora per non
saper accettare le conseguenze dell’essere quello che era.
Ma, come ogni altra volta che le fosse capitato,
trascorse la serata in disparte, in silenzio, imprecando fra sé
contro il Destino, o Chiunque fosse stato tanto crudelmente beffardo da
fare del canto una necessità per la sua gente, e un richiamo di
morte per l’uomo. |