Henry de Loren masticò con calma l'ultimo pezzo di tabacco che gli
era rimasto, assaporandone con forza il sapore… come se quello che aveva
in bocca fosse l'ultimo dell'intero Texas.
Dalla finestra della camera di quello che un
tempo fu un lussuoso albergo, lanciò un'occhiata distratta alla
strada.
Non vide nessuno, solo polvere e sporcizia. Ma
Carson City non era sempre stata il fantasma in cui l'uomo e il tempo l'avevano
trasformata.
Per un breve istante la via tornò affollata
e chiassosa, esattamente come nei ricordi di trent'anni prima, quando da
bambino era giunto con i genitori inseguendo la fortuna.
Quella fortuna che dai tempi di suo nonno, immigrato
dalla Francia in cerca di una vita migliore e morto invece senza un soldo
e con la schiena distrutta da anni di fatiche, era sempre parsa volgere
il proprio sguardo altrove.
Il padre di Henry aveva cercato di vincere la
sorte, di essere più forte delle avversità con cui ogni giorno
era costretto a lottare. Fu per questa ragione che decise di mettere a
frutto l'unica vera capacità di cui la natura sembrava averlo dotato:
l'abilità nei giochi di carte.
Per alcuni anni fu uno dei bari più abili
e fortunati del Texas, e la vita della loro famiglia parve finalmente essere
giunta a quella svolta che per tanti anni era invece parsa un miraggio.
A Henry non dispiaceva affatto dover viaggiare
per seguire gli spostamenti dei genitori, anzi i suoi occhi innocenti accoglievano
con gioia ogni nuova città.
Carson City fu la loro ultima meta, un soggiorno
che avrebbe dovuto essere simile a tanti altri e che invece si rivelò
la fine del sogno.
Era una città nata sull'onda dell'entusiasmo
dovuto alla scoperta di un giacimento aurifero poco più a ovest,
ai piedi delle montagne.
Ben presto la ricchezza trasformò il vecchio
insediamento dei minatori in un fiorente centro urbano, richiamando persone
da ogni dove, nonostante la relativa aridità del terreno. Il miglior
luogo che un giocatore professionista potesse desiderare.
Alla memoria di Henry, si riaffacciò dolorosamente
il ricordo della morte del padre.
Accadde una sera, quando con l'ingenuità
tipica di un bambino gli chiese se fosse vero ciò che aveva saputo
da alcuni compagni di giochi, e cioè se il suo lavoro fosse quello
di rubare i soldi imbrogliando con le carte.
Invece di arrabbiarsi o di recarsi ai tavoli
da gioco com'era solito fare a quell'ora come se nulla fosse accaduto,
suo padre lo prese per mano e lo accompagnò in quella che avrebbe
dovuto essere una lunga passeggiata.
Non era certo un compito facile spiegare ad un
bambino che in un mondo corrotto la corruzione non è altro che una
necessità di sopravvivenza, e che se avesse smesso di giocare l'agiatezza
della loro vita sarebbe presto scomparsa per sempre.
Quella fu una spiegazione che Henry dovette trarre
dalla vita, quando un balordo, sbucando dal nulla con una pistola in pugno
al termine di una via deserta, bloccò loro la strada.
Un gesto incompreso e la rapina si trasformò
in omicidio. Senza perdere tempo, l'assassino si mise a frugare nelle tasche
della giacca dell'uomo a cui aveva appena tolto la vita alla ricerca del
denaro.
Henry restò per un attimo come paralizzato,
mentre i suoi occhi si riempirono di lacrime, poi si gettò con rabbia
verso la scura figura china sul corpo di suo padre.
Iniziò a tirare calci e pugni con tutta
la forza che la sua giovane età poteva permettergli, e quasi per
caso le mani finirono per afferrare l'arma che l'uomo teneva ancora stretta
in pugno.
Con una spinta, l'assassino si liberò
facilmente di quell'ostacolo. "Vuoi prendermi la pistola?", sibilò
continuando a frugare negli abiti della sua vittima. "Credi di essere già
grande abbastanza per sfidarmi a duello, per caso?".
Richiamati dal rumore dello sparo, le luci all'interno
delle abitazioni circostanti iniziarono a accendersi e gli uomini ad accorrere
in piccoli gruppi.
Henry avrebbe voluto controbattere quelle parole,
ma tutto quello che riuscì a fare fu solo piangere.
L'uomo scomparve nell'ombra di un vicino vicolo,
veloce com'era apparso, prima che i più rapidi soccorritori giungessero
sul luogo del delitto.
La mattina successiva fu organizzata una battuta
di caccia, ma nonostante gli sforzi dello sceriffo e dei volontari tutti
i tentativi di raggiungere l'assassino si rivelarono vani.
Ciò che invece fu possibile scoprire fu
il suo nome. Un uomo, più avvezzo alle bottiglie che alle armi,
la sera successiva all'omicidio, seduto ad uno dei tavolini del saloon
raccontò, con la lingua sciolta da un mare di Whisky, di averlo
visto fuggire nel cuore della notte lanciando al galoppo il cavallo con
l'ausilio della sola luce offerta dalla Luna.
Un nome con cui la mente di Henry venne marchiata
a fuoco: Angus Wharton.
Un giorno avrebbe ottenuto la vendetta che in
quel momento non era in grado di reclamare, e avrebbe fatto rimangiare
a quell'infame individuo le parole di scherno che aveva pronunciato senza
alcun rimorso per il crimine appena commesso. Henry lo avrebbe sfidato
e ucciso.
I risparmi che suo padre aveva messo da parte
finirono presto e con essi la possibilità di rimanere a Carson City,
ma la città non sopravvisse alla loro partenza. Pochi mesi più
tardi il giacimento aurifero si esaurì e una siccità più
dura del previsto fece il resto. Nel volgere di pochi anni ciò che
rimase non fu altro che un pallido simulacro dell'effervescente centro
urbano che avevano conosciuto al loro arrivo.
Il passaggio di un vecchio cane randagio in cerca
di qualche scarto da mangiare destò Henry dai suoi ricordi.
Senza fretta, si scostò dalla finestra
e si avvicinò al letto, afferrò il cinturone con le pistole
e, dopo averlo indossato, uscì dalla stanza e scese in strada.
Il sole picchiava forte, ma per fortuna il cappello
offriva una buona protezione.
Henry lanciò un occhiata distratta correndo
con lo sguardo per tutta la lunghezza della via, ma del cane di poco prima
non vi era già più alcuna traccia. Sputò il tabacco
e si incamminò verso il luogo della città dove sorgeva quella
che un tempo fu una chiesa battista.
Presto si sarebbe compiuto il suo destino. Quel
giorno avrebbe ottenuto quella vendetta che per tanti anni gli era sfuggita.
Aveva appreso quasi per caso della presenza di
Angus Wharton a Carson City circa una settimana prima, parlando con lo
sceriffo di una vicina città a cui aveva riconsegnato un ladro di
cavalli.
Henry era infatti un bounty killer, un cacciatore
di taglie, il mestiere più adatto per ritrovare l'assassino di trent'anni
prima.
Lo sceriffo ne aveva parlato come di uno strano
personaggio, che, croce al collo, si era insediato nell'ormai abbandonata
chiesa battista di Carson City con l'intento di promuovere il vangelo tra
quel che restava dei membri di una tribù indiana accampata ai piedi
delle vicine montagne.
Sembrava che ignorasse il passato dell'uomo e
che lo considerasse una sorta di invasato religioso.
Le parole dello sceriffo risuonarono nella mente
di Henry con lo stesso fragore di quello sparo tanto vivo nei suoi ricordi
di bambino, ma non rivelò nulla di ciò che sapeva. Era un
lavoro che avrebbe assaporato da solo e senza alcuna ricompensa in denaro.
Lo spiazzo antistante la chiesa appariva deserto
e immerso in un profondo silenzio interrotto solo di tanto in tanto dalle
raffiche di un fastidioso vento che si era levato da alcuni minuti e che
pareva farsi sempre più forte.
Fuori, vicino alla facciata, vi erano un tavolo
e alcune sedie, segno evidente che la costruzione non era più abbandonata,
esattamente come gli era stato detto.
Henry si bloccò a una decina di metri
dalla porta, i cui battenti erano del tutto spalancati, portando la propria
mano all'altezza della pistola.
Restò immobile per qualche secondo, sfiorando
la Colt come per assicurarsi che ogni cosa fosse a posto e cercando di
ritrovare quella freddezza che l'esperienza gli aveva insegnato essere
il requisito principale per sopravvivere a lungo in un lavoro come il suo.
"ANGUS!", gridò con tutto il fiato che
riuscì a trovare quando ebbe di nuovo ricacciato il dolore dei vecchi
ricordi nelle profondità del passato.
Non dovette aspettare molto prima che un uomo
uscisse sul sagrato.
Così come lo sceriffo aveva descritto,
un vistoso crocefisso gli pendeva dal collo contrastando in maniera evidente
con il cinturone che portava ben legato alla vita. Il viso era incorniciato
da una folta barba e da un cappello nero a larghe tese, ma gli occhi diedero
a Henry la conferma di cui aveva bisogno.
Finalmente la sua caccia era giunta al termine,
finalmente era di nuovo di fronte all'assassino di suo padre.
"Sono venuto a cercare un uomo che non pensava
sarei mai stato in grado di sfidarlo per il dolore di cui era stato causa",
disse incrociando freddamente lo sguardo dell'altro.
Angus corrucciò la fronte per un momento,
come se stesse cercando di far luce nel buio dei ricordi, poi il suo viso
si distese. "Dev'essere stato tanto tempo fa, prima che decidessi di dedicare
la mia vita al Signore".
Se il momento non fosse stato tanto drammatico,
Henry avrebbe riso. Pensava forse di avere ancora a che fare con l'ingenuo
e indifeso bambino di un tempo?
Un movimento all'interno della chiesa attirò
la sua attenzione.
Poco al di là della porta un piccolo gruppo
di ragazzini indiani si era avvicinato per osservare ciò che stava
accadendo.
Henry cercò la presenza, dietro di loro
o ai margini della costruzione, di qualche complice dell'uomo che potesse
tentare di prenderlo alla sprovvista, ma non notò nulla di particolare.
All'improvviso una bambina di non più
di quattro o cinque anni si staccò dai compagni portandosi a fianco
di Angus e stringendosi con forza alla sua gamba. Non disse una sola parola,
ma i suoi occhi non lasciarono per un attimo quelli di Henry.
"Non sarà nascondendoti dietro a dei ragazzini
che ti salverai la vita".
Angus le accarezzò il capo, poi, dopo
una breve rassicurazione, la spinse dolcemente verso gli altri seguendola
con lo sguardo sinché non fu nuovamente entrata nell'edificio.
"Non qui! Discuteremo il problema lontano dai
loro occhi innocenti", disse infine attendendo un cenno d'assenso.
Henry mosse quasi impercettibilmente il capo
e si preparò a seguirlo.
Nel percorrere quei pochi metri di strada non
poté fare a meno di ripensare agli occhi di quella piccola indiana
e ai visi degli altri ragazzini rimasti al riparo della chiesa. Nel loro
sguardo non riusciva a scorgere altro che rancore verso di lui e preoccupazione
per l'uomo che era venuto a uccidere.
"Qui andrà benissimo", disse ad un tratto
Angus fermandosi ai margini di una larga via dopo alcuni minuti di cammino.
Henry si posizionò ad una ventina di metri
da lui. Presto avrebbe ottenuto quella vendetta che per tanti anni gli
era sfuggita.
Nell'abbandono generale di Carson City, solo
il vento pareva far sentire la propria presenza, facendo cigolare la logora
insegna di quello che trent'anni prima fu un fornito emporio e alzando
al cielo nuvole di sabbia e sporcizia.
"Siamo ancora in tempo per fermarci. Non ho alcun
desiderio di ucciderti, ma lo farò se mi costringerai", lo avvertì
Angus, mentre una folata più forte delle altre trascinava in alto
un vecchio giornale.
"È uno strano modo d'agire per uno che
porta una croce al collo. Io credevo che gli uomini come te avrebbero dovuto
offrire l'altra guancia, o mi sbaglio?".
"Ciò che faccio non è per mio interesse,
ma per i bambini che hai visto. Se restassero senza di me non avrebbero
nessun altro a proteggerli".
Henry dovette reprimere un moto di rabbia. "Tu
sei solo un assassino, non il santo che vuoi far credere. Trent'anni fa
uccidesti mio padre, e tutto per rubare pochi soldi".
"È vero. Ci fu un tempo in cui non avevo
alcun ideale e vivevo di furti e rapine… ma poi ho capito che la strada
che avevo imboccato non mi avrebbe condotto che verso l'autodistruzione.
Ti prego di credermi quando ti dico che se la mia morte potesse porre rimedio
al male di cui sono stato causa, l'accetterei come il migliore dei doni".
Henry parve confuso. Possibile che quelle parole
corrispondessero a verità? Gli occhi sembravano sinceri, ma dentro
di sé sentiva di non volere né potere rinunciare a ciò
che era venuto a compiere.
"C'è una cosa che voglio chiederti. Chi
sono quei bambini che ho visto?".
"Sono tutti orfani… il risultato di quello che
il nostro cosiddetto progresso e le bande di messicani hanno fatto al loro
popolo".
Angus restava immobile, con la mano vicina all'arma
ma senza accennare ad estrarla. Forse era intenzionato a concedere la prima
mossa all'avversario.
L'omicidio del padre doveva essere vendicato.
Henry non poteva permettere che l'uomo che era stato la causa di tanto
dolore potesse sopravvivere. Un dolore immenso, provocato ad un bambino
innocente come… la piccola indiana che era parsa sfidarlo sul sagrato.
Per un attimo si sentì perso, come se
l'obiettivo che per tanto tempo aveva guidato il suo cammino stesse improvvisamente
perdendo ogni importanza.
Non poteva permettersi una simile esitazione.
Doveva scuotersi, agire prima che fosse troppo tardi.
Vi fu un breve attimo in cui i suoi occhi si
incatenarono a quelli di Angus, poi, improvvisamente, prese la sua decisione.
Non sarebbe diventato come l'assassino a cui
per tanto tempo aveva dato la caccia. Quell'uomo era già morto,
un semplice ricordo del passato. Ci sarebbe stato ancora qualcuno in grado
di prendersi cura di quei piccoli orfani.
Senza dire una parola Henry si voltò,
allontanandosi da un luogo che ormai non gli apparteneva più.
Dietro di sé sentì la voce del
suo vecchio nemico. "Aspetta. Dimmi almeno il tuo nome!".
"Henry de Loren", rispose senza voltarsi, continuando
il cammino con il sorriso sulle labbra. |