Please, speak english: "All nite long."
Abbarbichiamoci qua, lontani finalmente
da mezzelune e sorrisi, qua su questa
punta che ci torna ancora una volta (ma
mai per sempre) azzurri.
Una salsina rosea, dolce a vedersi,
è il risultato dello strofinamento
della pelle
con polvere grossa di vetro. E' il vetro
col sangue. Il rosso m'implora tuttora.
Non sono mutilato. Vedo eccetera.
Calpesto, ascolto e raccolgo rinvii
e suppliche, riempio cesti di piccole mani,
sollevo aria dall'inutilità
pressante.
Sprechen Sie Deutsch? |
Abbindolato dall’arco, falseggio.
Sfreccio, e trafittomi svanisco.
Eloquenti torpiloqui mi fanno compagnia.
Nell’unica “mia” attesa t’aspetto.
T’avevo vista: bionda, dietro al vino.
Con un sorriso sottobraccio.
Occhi politici: da destra a sinistra.
In questo quadretto non c’entravo per nulla:
ero il pennello. Da sola, a tua insaputa,
la tua bocca mi sfiorò.
Perdurò l’illusione: dalle 20.34 alle
20.35:
sempre lo stesso minuto.
Riprodotti in piovosità canoniche
dialogammo io e te: sembravamo
due pennichelle. Due federe.
Ininseribili l’una nell’altra,
o auto-annullanti, come dire:
oggetti. Fu un colpo di fortuna “capirti”.
Vuoi per il tempo, per l’inclinazione del punto
esclamativo,
per questo o per quello, non ci innamorammo.
Entrambi - io e te - di te. Non che fossimo
indifferenti.
Soltanto che i tuoi capelli erano troppo espliciti
e vedendoli tagliati il giorno dopo mi sentii
una forbice.
“Eppure,” dicesti, “abbiam bevuto da un unico
bicchiere.”
Preso a testimone, il bicchiere tace.
Ascolta, piuttosto:
cos’è quel rosso d’uva negli occhi?
Cos’hai all’angolo delle labbra? Virgole?
Ti vedo lontana, come se fossi qui.
E nella banalità del tendere la mano
mi scappa
- forse - da ridere. |
Era l'hotel quel riflesso che vedevi
nei lampadari a cristalli, nei fianchi
delle barche o nei resti del bicchiere.
L'hotel azzurro unico edificio rimasto
in piedi a Firenze o a Venice o al
disperato lago di Garda. L'hotel
senza atrio né divani, con i letti
lacrimanti e i muri così molli che
ci si poteva dormire sdraiati. Le
stanze erano tutte le tue, gaie o
sfumate, con finestre come mani
e cicatrici al posto dei rubinetti.
Tesi, i dialoghi. Scenografici, i
tuoi sguardi o gesti qualunque,
anche mentre leggevi: "Colazione
dalle 07.00 alle 09.00." Dammi la
mano, pensavo io, e pensavo: ci
sta uccidendo, questa invasione
di receptions. |